I solfiti sono composti chimici ampiamente utilizzati come additivi alimentari per la loro capacità di conservare e proteggere numerosi prodotti dal deterioramento.
Sebbene il loro uso sia considerato sicuro per la maggior parte delle persone, esiste una parte della popolazione che manifesta reazioni avverse legate all’assunzione di questi conservanti, con sintomi spesso riconducibili a ciò che viene definito intolleranza ai solfiti o, in alcuni casi, allergia ai solfiti.
Nel corso di questo articolo esploreremo che cosa sono i solfiti, le differenze tra un’allergia vera e propria e un’intolleranza, i sintomi più comuni, le cause, gli alimenti in cui si trovano in maggior concentrazione e i metodi diagnostici disponibili per chi sospetta di esserne sensibile.
Cosa sono i solfiti?
Con il termine “solfiti” si fa riferimento a un gruppo di additivi chimici che comprendono l’anidride solforosa (E220) e i solfiti veri e propri (E221-E228).
La loro principale funzione consiste nel preservare i prodotti alimentari da processi di ossidazione, dalla proliferazione di batteri, muffe e lieviti indesiderati, oltre a mantenere un aspetto e un colore stabili.
Il loro meccanismo d’azione si basa sul rilascio di anidride solforosa quando sono disciolti in soluzione acquosa, un gas in grado di inibire o rallentare le attività microbiche responsabili dell’alterazione degli alimenti.
Nella maggior parte dei casi, l’assunzione di solfiti non provoca problemi. Tuttavia, una piccola percentuale della popolazione può manifestare reazioni avverse, dall’irritazione delle vie respiratorie a sintomi gastrointestinali, fino ad arrivare a forme di ipersensibilità di vario tipo.
Le differenze tra allergia o intolleranza ai solfiti
In ambito medico esiste un dibattito riguardo la natura delle reazioni negative ai solfiti.
Alcuni le associano alle allergie, mentre altri preferiscono catalogarle come forme di sensibilità o intolleranza.
La distinzione tra un’allergia reale e un’intolleranza risiede essenzialmente nel coinvolgimento del sistema immunitario.
Un’allergia vera e propria prevede una risposta immunitaria specifica (di tipo IgE-mediato o di altra natura), con sintomi potenzialmente gravi fino allo shock anafilattico.
L’intolleranza ai solfiti non coinvolge il sistema immunitario con la produzione di anticorpi specifici, ma piuttosto una difficoltà dell’organismo nel metabolizzare l’anidride solforosa o i sali solforati.
Ciò può dipendere, ad esempio, da una carenza dell’enzima responsabile della detossificazione dei solfiti, o da reazioni irritative che insorgono soprattutto a livello gastrointestinale e respiratorio.
In alcune persone si ritrovano sintomi tipici dell’asma dopo l’ingestione di solfiti, senza che vi sia un’allergia IgE-mediata: in questi casi, si parla talvolta di “ipersensibilità ai solfiti” più che di allergia vera e propria.
Allo stato attuale, la comunità scientifica concorda sul fatto che esista un ventaglio di possibili reazioni ai solfiti, la cui gravità varia da lievi disturbi a quadri più complessi.
Quali sono i sintomi di un’intolleranza ai solfiti?
I sintomi di un’intolleranza ai solfiti possono interessare soprattutto l’apparato respiratorio e quello gastrointestinale, con manifestazioni che, sebbene spesso lievi, possono diventare decisamente sgradevoli.
Tra i più comuni ricordiamo:
- Prurito: può coinvolgere la bocca, la gola o estendersi al resto del corpo in forma di lieve irritazione cutanea;
- Arrossamento cutaneo: rossore diffuso o flush (specialmente sul volto);
- Diarrea: è uno dei disturbi gastrointestinali più frequenti, dovuto probabilmente all’irritazione delle pareti intestinali;
- Disturbi respiratori: tosse, sensazione di fiato corto, fino alla comparsa di veri e propri episodi asmatici;
- Disagi gastrointestinali più generici: crampi addominali, gonfiore, nausea o vomito.
Cause dell’intolleranza ai solfiti
Le cause alla base dell’intolleranza ai solfiti non sono del tutto chiare.
Alcuni studi suggeriscono che possa essere implicato un deficit dell’enzima responsabile di metabolizzare l’anidride solforosa all’interno del nostro organismo. In particolare, quando l’anidride solforosa non viene opportunamente convertita, si accumula e può provocare un effetto irritante su tessuti sensibili come le mucose delle vie respiratorie e dell’apparato digerente.
Inoltre, è stato osservato che i soggetti asmatici o con una storia di reattività allergica (ad esempio rinite allergica o dermatiti) presentano un rischio aumentato di sviluppare disturbi correlati ai solfiti.
Restano ancora da chiarire i dettagli di altri possibili meccanismi, ad esempio l’eventuale rilascio di mediatori infiammatori a livello delle mucose.
Quali alimenti contengono più solfiti?
I solfiti si trovano in numerosi cibi e bevande. Il vino è probabilmente l’esempio più emblematico, in quanto la produzione di solfiti avviene naturalmente durante la fermentazione e, in alcuni casi, ne ricevono una quantità aggiuntiva per favorirne la conservazione.
Anche la birra e il sidro possono subire un trattamento analogo, così da mantenerne intatte le proprietà organolettiche più a lungo.
Un altro esempio di cibi ricchi di solfiti è la frutta disidratata, come albicocche secche o prugne, in cui questi additivi preservano il colore.
Lo stesso vale per alcuni succhi di frutta, salse pronte, marmellate e conserve di pomodoro, dove l’anidride solforosa impedisce la proliferazione di muffe e batteri.
Nell’ambito dei prodotti di origine animale, anche i crostacei e le carni lavorate possono contenerne (wurstel, insaccati), con lo scopo di mantenere un aspetto appetibile.
Secondo la normativa europea, la presenza di anidride solforosa (E220) o solfiti (da E221 a E228) deve essere chiaramente indicata in etichetta quando la concentrazione supera i 10 milligrammi per chilo o litro, in modo che i consumatori possano identificarli e fare scelte informate.
Come si effettua il test?
Stabilire la presenza di un’intolleranza o una sensibilità ai solfiti può rivelarsi complesso, dato che i test allergologici tradizionali (come prick test, patch test e analisi del sangue per IgE) spesso non rilevano reazioni immunomediate a queste sostanze.
In genere si comincia con la dieta ad esclusione, eliminando gli alimenti contenenti solfiti per un periodo e osservando se i sintomi diminuiscono.
A quel punto, si reintroducono gradualmente alcuni cibi o bevande per individuare le eventuali reazioni.
Tenere un diario alimentare è un altro strumento utile, perché aiuta a riconoscere con più chiarezza se i disturbi compaiono solo dopo l’assunzione di prodotti ricchi di solfiti.
In alcune situazioni, l’allergologo può proporre un test di provocazione orale in ambiente sicuro, oppure valutazioni enzimatiche specifiche, se si sospetta un deficit nella metabolizzazione dell’anidride solforosa.
In ogni caso è importante rivolgersi a professionisti qualificati, come allergologi o nutrizionisti, per escludere diagnosi errate o regimi alimentari squilibrati.
Conclusione
L’intolleranza ai solfiti è una condizione piuttosto rara rispetto ad altre allergie o intolleranze più conosciute, ma può comunque causare sintomi fastidiosi, soprattutto di tipo gastrointestinale e respiratorio.
Per gestire al meglio la problematica, è fondamentale imparare a leggere le etichette per individuare la presenza degli additivi (E220-E228) e seguire eventuali diete di esclusione e reintroduzione sotto supervisione medica.
In caso di sintomi ripetuti o intensi, è raccomandabile rivolgersi a un allergologo o a un nutrizionista specializzato, così da ottenere una diagnosi accurata ed escludere altre possibili cause.
Chi desidera mangiare fuori casa senza preoccupazioni può contare su strumenti come MyCIA e la Carta d’Identità Alimentare, che consentono di definire un profilo personalizzato con eventuali intolleranze e preferenze, facilitando la selezione di piatti e bevande nei menù digitali dei ristoranti aderenti.
Così facendo, anche chi è particolarmente sensibile ai solfiti potrà vivere l’esperienza del pasto in modo sereno, tutelando la propria salute e godendosi il piacere della convivialità.